+39 06.9075086 info@hemologix.com

Registratori a memoria solida per Holter di FC/ST/PA/ECG per la gestione della terapia ipertensiva

[fusion_modal_text_link name=”dettagliocardiotens” class=”” id=””]DETTAGLI[/fusion_modal_text_link]

[fusion_modal name=”dettagliocardiotens” title=”CARDIOTENS/CARDXPLORE” size=”large” background=”” border_color=”” show_footer=”yes” class=”” id=””]

L’Importanza del monitoraggio sec. Holter di Pressione Arteriosa ed ECG combinati in pazienti ipertesi a rischio di IMA (estratto da una monografia della Meditech Ltd.)

La diffusione del monitoraggio ambulatoriale sec. Holter della pressione arteriosa indica che il trattamento dell’ipertensione é migliorato continuamente sin dal 1950, con il rapido aumento del numero di pazienti sottoposti a questo test negli ultimi anni. Il risultato é stato quello di ridurre sensibilmente il numero delle ischemie cerebrali, al punto che l’incidenza di queste in un dato Paese rappresenta il livello qualitativo della terapia anti-ipertensiva.

Per contro lo stesso non si può dire in relazione ai casi di IMA, la cui riduzione é stata certamente meno sensibile e non convincente. Tra le numerose spiegazioni possibili di questo non-evento, forse conviene isolare la correlazione tra i fattori di rischio coronarico e le variazioni, o riduzioni, della pressione arteriosa risultante dalla terapia, e quindi procedere ad una analisi. Nel 1987, nelle colonne del “Lancet”, Cruickshank aveva descritto le sue osservazioni sulla base di una ricerca effettuata su un grande numero di pazienti. Se la pressione diastolica veniva abbassata sotto ad 85 mmHg durante la terapia, l’incidenza di IMA – contrariamente a quanto ci si poteva aspettare – aumentava invece che diminuire. Attraverso l’analisi dei dati, diventò chiaro che l’aumento di incidenza di IMA era generato tra quei pazienti che soffrivano di CHD (Coronary Heart Desease). Le sue osservazioni – riassunte nella curva “J” od “U”, dove la seconda parte della curva rappresentava l’aumento di IMA in pazienti con sofferenza coronarica – fu causa di discussioni violente sulla stampa specializzata.

Ciononostante, i risultati di uno studio più recente, “Finnish Cohorts of the Seven Countries Study” (1994) confermò le osservazioni di Cruikshank, chiarificando maggiormente che il fenomeno “J” é più pronunciato tra pazienti anziani (>65) – probabilmente per una maggiore incidenza di problemi coronarici in questo gruppo. L’importanza di questo problema é talmente significativa che il medesimo costituì la questione primaria dello studio HOT, che ha esaminato più di 20.000 pazienti cercando di determinare il livello ottimale di riduzione della pressione arteriosa, cioè di quel livello al quale si può ridurre la pressione senza incorrere in un aumento di rischio di IMA. Anche se i risultati di questo mega-studio saranno disponibili solo in futuro, possiamo sin d’ora concludere da quelle informazioni che la correlazione tra incidenza di IMA e la riduzione della pressione arteriosa é molto più delicata di quanto supposto in precedenza. Inoltre, comprovati dati bibliografici confermano che una riduzione eccessiva della pressione in pazienti coronarici compromette le condizioni della perfusione – dato che l’80% della flusso sanguigno coronarico avviene in diastole – il che può portare ad ischemie miocardiche derivanti da inadeguata ossigenazione.

Nel 1990 Deedwania, pioniere del monitoraggio simultaneo di PA ed ECG, pubblicò le sue osservazioni emodinamiche, dimostrando che l’aumento della pressione sistolica e/o della frequenza cardiaca in pazienti coronarici precede di qualche minuto periodi ischemici. Con ciò provando che in presenza di angina cronica stabile, l’aumento della domanda di ossigeno provocata da un aumento pressorio e/o di frequenza porta ad ischemia. La grande maggioranza di questi casi (92%) avviene in forma silente ed in ritmo circadiano (concentrandosi nelle ore mattutine), Quindi diminuendo la dimensione e quantità dell’improvviso aumento di pressione e frequenza si possono ridurre il numero di occorrenze ischemiche. E cioé, conoscendo il trend dell’ST che rappresenta gli eventi ischemici ed i corrispondenti dati pressori, é possibile offrire una terapia anti-ischemica tramite un controllo adeguato della pressione. Possiamo quindi ammettere che la conoscenza di eventi ischemici e delle concomitanti pressione arteriosa e frequenza cardiaca costituisce la base cruciale di informazioni fondamentali per il trattamento dell’ipertensione.

Durante la terapia di regolazione della pressione arteriosa, la nostra attenzione deve essere diretta all’andamento del trend del tratto ST, correlato alla perfusione coronarica, specialmente in presenza di accertata o supposta CHD. Oggigiorno la definizione più accettata di evento ischemico (AHA) é quella del 3×1, cioé un evento ischemico transiente avviene se avviene una depressione dell’ST orizzontale o discendente maggiore di 1 mm (0,1 mV), nell’intervallo tra 60 ed 80 ms dal punto J, che dura per almeno 1 minuto e con almeno 1 minuto di intervallo tra due eventi. La maggioranza degli autori definisce l’inizio e fine dell’evento quando il livello della depressione eccede/rientra nei limiti di 1 mm.

Sulla base di quanto sopra é ovvio che un’ischemia miocardica può svilupparsi in tempi brevi, anche in 1-2 minuti e che tale evento é direttamente correlato alla pressione/frequenza del momento. Pertanto il monitoraggio della pressione, che generalmente avviene ad intervalli di 15-30 minuti copre solo una piccolissima parte di tempo a rischio, potendosi verificare uno o più episodi ischemici durante l’intervallo tra due misurazioni successive e quindi solo una quasi fortuita coincidenza può consentire di rilevare la pressione durante un tale evento. La soluzione ovvia é quella di completare il monitoraggio della pressione con quella dell’ECG, come dimostrato già da Deewania. Ma questa soluzione non risolve il problema perché anche se la registrazione dell’ECG rileva gli eventi ischemici, la misurazione della pressione avviene pur sempre ad intervalli, con la conseguenza che la pressione concomitante ad un evento rimane sconosciuta.

Una ricerca di sviluppo su base clinica ha prodotto un nuovo tipo di strumenti, il CardioTens ed il CardXplore. La loro caratteristica primaria é un algoritmo matematico all’interno del microprocessore, che analizza i principali parametri dell’ECG battito-per-battito e quindi rileva un evento ischemico sulla base della definizione “3×1” : se il modulo ECG rileva un evento ischemico, immediatamente comanda un rilevamento pressorio estemporaneo, consentendo quindi di osservare il background emodinamico dell’effettivo evento ischemico. Questo trigger di misurazione di pressione viene attivato non solo da una depressione del tratto ST, ma anche da un’elevazione, da tachicardia o bradicardia, e l’operatore può definirne i limiti all’inizio del test. Questa predisposizione dei limiti di trigger viene facilitata dalla possibilità di esaminare il tracciato ECG (sullo schermo di un computer), con tratto ST e frequenza a riposo, dopo aver collegato l’intero sistema al paziente. Lo strumento memorizza i tracciati ECG in caso di evento per una durata selezionabile, ed inoltre può memorizzare tracciati di durata a scelta ad intervalli a scelta.

Il CardXplore memorizza 24 ore di ECG su 3 canali; il Cardiotens memorizza oltre 180 minuti di tracciati su due canali a 200Hz, oltre all’intero trend di ST ed FC, battito-per-battito, ed ai dati pressori, consentendo l’immediata visione dei dati in concomitanza (iper/ipotensione – livello ST – frequenza – tracciato ECG) e fornendo un esatto controllo della tensione, che aiuta a determinare la pressione ottimale per pazienti con CHD, e proteggendoli nel contempo dall’aumento di domanda di ossigeno associata ad improvvise fluttuazioni di pressione/frequenza. Il software consente anche di analizzare la variabilità del tratto R-R nel dominio del tempo e della frequenza ai fini diagnostici. Questi strumenti rappresentano una nuova classe di mezzo diagnostico per il medico coinvolto nel trattamento dell’ipertensione a qualsiasi livello. Esso é indirizzato principalmente all’esame della correlazione tra pressione arteriosa ed eventi ischemici ed alla conseguente possibilità di modulazione della terapia anti-ipertensiva anche in funzione del rischio di IMA.

[/fusion_modal]